Tredici marzo duemilatredici, ore ventitré circa. Mentre l’acido del Lambic appena bevuto inizia ad accarezzarmi le papille gustative, squilla il telefono. Rispondo preoccupato: “Pronto mamma, cosa è successo?”; “Figliolo, hai saputo? Fumata bianca, abbiamo il nuovo Papa!”.
Il libro del sociologo torinese Marco Marzano, Quel che resta dei cattolici (Feltrinelli 2012), parte più o meno da qui, dall’esistenza in Italia di due diverse Chiese. Una, quella del Pontefice, del Conclave e del colonnato del Bernini, in grado di parlare a tutti, presente stabilmente sui giornali e le televisioni, influente e piena di fascino, coccolata dalla politica, con un fatturato e un patrimonio immobiliare tra i più importanti del pianeta. L’altra, quella delle brutte parrocchie di cemento armato in cui nessuno vuole sposarsi, del catechismo, della preghiera, dilaniata da una paurosa crisi delle vocazioni, ignorata e rimossa.
L’indagine sullo stato di salute della fede nel nostro paese ci restituisce un quadro drammatico, più simile a un reportage di guerra che a un viaggio attraverso le beatitudini dello spirito, con i presbiteri e le comunità ecclesiastiche assediati da ogni lato: dalle periodiche esternazioni del vescovo di Roma in materia di contraccezione, aborto e fine vita, che producono confusione e smarrimento tra i fedeli; dalla dilagante secolarizzazione che attraversa il capitalismo avanzato, puntellata dagli scandali sessuali che hanno travolto il clero negli ultimi anni; dall’esercito dei frequentatori occasionali, pronti ad assaltare le parrocchie autogrill giusto il tempo necessario a consumare uno dei sacramenti disponibili nel catalogo.
Le cifre sono impietose: se l’89% degli italiani ha opzionato l’ingresso nel regno dei cieli battezzandosi, solo una piccolissima parte tra loro (la media nazionale si attesta sul 6%) partecipa al rito domenicale della messa, con un crollo vertiginoso (più del 70%) delle presenze tra i giovani; in molte diocesi, per garantire alle anziane signore il regolare svolgimento della funzione, i sacerdoti sono costretti a veri e propri “tour del Signore”, che prevedono nella stessa giornata anche cinque celebrazioni in luoghi diversi.
Impegnato a ribadire in ogni momento il primato petrino, imbarazzato dall’abbondanza degli scandali interni, ce n’è per tutti i gusti, dalla pedofilia al maggiordomo corvo passando per la corruzione di Formigoni, il governo del Vaticano assiste impotente al cambiamento in atto, non trovando certo nella CEI la sponda adeguata ad arginare il crollo.
Alle comunità locali non resta che chiudersi in se stesse o scomparire, riuscendo talvolta a sopravvivere solo grazie alla presenza di sacerdoti particolarmente carismatici, in grado di fare chiesa da soli e di coinvolgere il laicato, nonché di attrarre qualche giovane, ultimissima speranza prima dell’estinzione.
Se i vertici ecclesiastici si sono nei fatti rivelati incapaci di mettere in atto quella risposta alla modernità discussa e teorizzata dal Vaticano II, l’occasione non è stata invece sprecata da alcuni movimenti, che approfittando del clima post-conciliare e della crisi dell’Azione Cattolica, hanno avviato, a partire dagli anni settanta, una massiccia campagna di reclutamento tra i laici. Mentre Comunione e Liberazione e l’Opus Dei hanno prestato particolare attenzione agli aspetti più “temporali” della religiosità, diverso è stato il percorso dei Carismatici e soprattutto del Cammino neocatecumenale.
Nato in Spagna alla fine degli anni sessanta, l’organizzazione promuove da sempre un ritorno alla purezza delle origini del cristianesimo, criticando ferocemente qualsiasi mediazione e rapporto della Chiesa con il potere politico. Nonostante il nucleo dell’esperienza neocatecumenale sia costituito dalla riscoperta del battesimo e da un’intensa catechesi, il Cammino, più che consorzio aperto dedito all’evangelizzazione, ha assunto nel corso del tempo le sembianze di una vera e propria setta religiosa, arrivando ad annullare ogni aspetto della vita privata dei fratelli e delle sorelle.
A differenza del cattolicesimo tradizionale, la diffusione del movimento sembra oggi non conoscere crisi; sono moltissimi i gruppi che prosperano all’interno delle parrocchie, in un regime di totale separazione dal resto dei fedeli, e con una propria particolare liturgia, modellata su quella canonica dal gusto personale dei fondatori. Fosse ancora in vita, Giovanni Paolo II, padre spirituale, amante entusiasta e sostenitore della regolarizzazione tramite Statuto del Cammino, sarebbe forse preoccupato dell’eccessiva indipendenza di questa “manifestazione dello Spirito Santo, che è lievito che fermenta la comunità”.
Ignorando i duemila anni di barbarie e menzogne che gli eredi di Pietro si lasciano alla spalle, l’immagine dei confessionali impolverati ai lati delle navate e dei banchi potrebbe suscitare perfino qualche tenerezza; ma è solo lo sbandamento di un attimo, immediatamente un senso di profonda soddisfazione e allegria torna a fare da sfondo all’inesorabile declino di Santa Romana Chiesa.